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e-Petasus (Abstract)

Dove si propone una nuova lettura del quadrato magico basata su rotazioni successive. E proprio nel verso della lettura sembra celarsi la sfida che il pentacolo continuamente rinnova.

La dinamica segreta del SATOR

Un quadrato particolarmente senese

Si tratta di una formula assai nota, diffusa, a partire dal I secolo d.C. in una vasta area geografica (Cappadocia, Gallia, Iberia, Pannonia, Britannia, Italia… Qui la possiamo leggere a Pompei, Cremona, Verona, Siena…). I due reperti più antichi, pompeiani, sono ovviamente anteriori alla tragedia del 79 d.C.; ma di quanto non si può dire.

A Siena,il sator si trova in una parete del Duomo, che, guarda caso, è «uno dei punti-chiave dell’equilibrio magico-simbolico della città» e che costituisce, con le Sibille e l’Ermete Trismegisto delle tarsie pavimentali, una sede quantomai adatta alla nostra misteriosa epigrafe.

Il quadrato magico – tenuto insieme dalla croce formata dal verbo tenet – può essere letto da sinistra a destra, dall’alto in basso e vicibus versis. Ci piace che sia proprio tenet, in ragione del suo significato, la parola centrale e – come succede nel caso di un numero dispari di versi – autonomamente palindroma (ovvero leggibile, con lo stesso risultato, anche a ritroso).

Notiamo che la pentacolare-tentacolare sequenza, una volta distesa, può essere letta, identica a se stessa, nei due sensi. Naturalmente numerose le interpretazioni di un testo che presenta più direzioni di lettura e che è conosciuto in varie forme (radianti, lineari o circolari, quadrate). I più antichi esemplari preferiscono la sequenza ROTAS OPERA TENET AREPO SATOR.

Il quadrato di Siena:

Ne riportiamo la traduzione di un grande studioso senese, Mario Bussagli (già citato sopra):

Il seminatore, all’aratro, tiene, con il lavoro le ruote.

Lo stesso Bussagli vi legge un intento allegorico: «‘il seminatore’, cioè il Cristo, all’aratro, il che significa attraverso il creato, con la sua opera, vale a dire con la potenza divina, regola le ruote dei cieli e del tempo».

Non ci dispiaccia troppo l’oscurità del testo, la quale, connaturata e necessaria ad ogni tipo di enigma, profezia o incantesimo, non è un mero accidente. In fondo, il senso fondamentale di questo ed altri carmina si trova in una mimesi del reale o in una capacità di rappresentarlo e, dunque, di dominarlo; si trova, in altre parole, nella forma o, come vedremo, nella dinamica.

Rotae in movimento o I sensi della scrittura

Facendo ruotare il quadrato di 90° intorno al mozzo costituito dalla lettera N – l’unica a non essere ripetuta nel testo – otteniamo lo stesso quadrato, ma rovesciato (mentre SATOR cede il posto a ROTAS, ROTAS lo cede a SATOR e AREPO a OPERA; e così via ad ogni rotazione). Soltanto la croce formata dai due TENET – nel tenere si esplicita la coerenza di forme e contenuti – rimane insensibile ai capovolgimenti e, in certo qual modo, immutabile.

Dichiariamo la fonte della nostra ispirazione in Stefano Bartezzaghi: «lo scriba procede dall’alto in basso, ma per leggere bisogna voltare il manoscritto di 90° verso la destra e leggere orizzontalmente», secondo un atto che pare complementare al bustrofedismo.

Scrivere (e leggere) come arare e seminare

Abbiamo così raggiunto, per una via esclusivamente formale, i dominî della scrittura magica, appunto quella bustrofedica (che già era stata indicata dai critici – fra i quali Bussagli – come ipotesi di lettura e che trova, in questo contesto, una conferma anche sul piano dei contenuti).

La scrittura bustrofedica consiste nell’alternanza del verso della lettura (da sinistra a destra e poi da destra a sinistra, e così procedendo) esattamente ed etimologicamente come farebbe un aratro tirato dai buoi (bustrofedico deriva da un avverbio gr. ant. che significa letteralmente ‘come si conducono i buoi’):

Non si può trascurare il fatto che il tema di questo carmen sia la semina, che, connessa all’aratura, resta uno dei temi prediletti dalla magica crittografia degli antichi. Ci ricordano il motivo sia il Giasone delle Argonautiche di Apollonio Rodio, sia il cosiddetto Indovinello veronese, di scolastica memoria. In quest’ultimo, l’aratro che solca il campo non è altro che l’immagine della penna che scrive sul foglio:

Se pareba boves,

alba pratalia araba

albo versorio teneba

negro semen seminaba.

Spingeva davanti a sé i buoi

arava bianchi prati

teneva un bianco aratro

seminava un nero seme.

Si noterà come nel testo (una probatio pennae!) compaiano due termini assai interessanti: versorio, ‘aratro’, che è formalmente prossimo al verso poetico, e teneba che, richiamando il tenet del quadrato, si conferma verbo specializzato.

È notevole che la poesia e l’aratura abbiano lo stesso vocabolario, come ci testimonia, del resto, una strofa che è connessa col medesimo verbo greco (stréfein ‘volgere’, da cui il greco strofé) che forma, come abbiamo già visto, il bustrofedo. Nessuna meraviglia, poi, se il termine rima significa ‘fenditura’, ‘solco’.

Anche un proverbio dimostra quanto siano longeve e radicate certe immaginazioni della cultura: «La vanga – dice il contadino dei nostri campi – è una penna che va tufata [‘intinta’] troppo spesso»!

In più, l’aratura e la semina – a cui potremmo accostare senza paura la fecondazione, la navigazione, la scalcheria e la chirurgia – sono atti simbolicamente iniziatici e sacrificali. È che il sema ‘segno, senso, significato’ e il seme ‘semente’ sono troppo vicini tra loro nel vocabolario per non sollecitare qualche riflessione.

Ci piace allora immaginare che i versi del quadrato, che potrebbero costituire una sorta di prova (come un indovinello o una domanda d’esame), debbano essere letti nel modo che segue, cioè seguendo il solco dell’aratro:

SATOR

OPERA

TENET

AREPO

ROTAS

Solo così – cioè presupponendo la bustrofedica arguzia del lettore-iniziando – il quadrato perde un’inerzia che non appartiene alle opere di magia. Il significato è funzione della forma: nasce su di essa e su di essa si sviluppa. Il sator riproduce realmente il movimento del seminatore-scrittore e invita chi raccoglie-legge a seguirlo nel suo viaggio sinuoso. Ciò è coerente con quanto suggerito dalla rotazione di cui sopra abbiamo detto; rotazione la cui plausibilità è non poco accresciuta dal termine – non propriamente conclusivo – ROTAS. Il nostro pentacolo finisce, insomma, per sembrarci una ruota dell’aratro.

Infine, rileviamo che l’analogia che lega le azioni del raccogliere e del leggere è il rovescio di quella che lega seminare e scrivere. Leggiamo il dizionario: «Lat. legere (di diffusione indeur.), oscuramente passato dal primitivo sign. di ‘raccogliere’ a quello di ‘leggere’, forse attrav. uno specifico uso liturgico e politico». Ma non così oscuramente se guardiamo alla vicenda attraverso le immagini della cultura.

Ebbene – a patto che si legga bustrofedicamente – a ogni rotazione di 90° noi otteniamo sempre un identico esito: SATOR OPERA TENET AREPO ROTAS.

Ecco quindi che la stabilità del TENET può, ora, riferirsi non solo all’incrocio del verbo, ma a tutto il testo, capace magicamente di riprodursi sempre uguale a se stesso, nonostante il vorticare delle sue ruote (che siano o no quelle di carri più o meno divini o astrali). Non è facile sottrarsi al fascino di quei buoi – septem triones – che tirano il carro dell’Orsa e che, nel caso si debba parlare di metafore o allegorie celesti, sono i parenti più prossimi di quelli attaccati al nostro pesante aratro, il nostro versorio.

Lettura bustrofedica del «primo» quadrato:

Se, dopo tale lettura ruotiamo il quadrato di 90° continuando a leggere con il verso alternato, otteniamo, come abbiamo già detto, uno schema rovesciato; il bustrofedo, tuttavia, impone una lettura rovescia che suona esattamente come la precedente:

Ed ancora, proseguendo all’infinito:

Un quadrato e un pentacolo (di nuovo i buoi)

Rimane da dire della coerenza della forma pentacolare (o il Cinque) con un contenuto che pare esclusivamente quadrato (o il Quattro).

Il pentacolo, nell’immagine del seminatore, non potrà che essere un quincunx (‘quinconce’, come cinque once), che rappresenta, fra le altre cose, i cinque dodicesimi di uno iugero di terreno (ca. 2500 mq). Lo iugero è l’unità di misura agraria dei Romani e corrisponde alla superficie che era possibile arare in una giornata con due buoi aggiogati (iugero da iugum, ‘giogo’). La metà di uno iugero, inoltre, si dice arepennis o arapennis, che è nome già invocato dagli interpreti a proposito dello sfuggente arepo del nostro quadrato.

Il quinconce rappresenta anche il 5 sulla faccia dei dadi – di nuovo i cinque dodicesimi – e la tipica disposizione di alberi e piante, che ci riporta al lavoro del sator:

*         *

*

*       *

Nel campo della scrittura

È la potenza della parola il vero contenuto del carmen, il quale ci parla della scrittura, della composizione poetica, dei versi e del loro rispecchiamento negli ingranaggi delle ruote celesti. La varietà delle forme in cui il pentacolo si è diffuso conforta questa interpretazione. Grazie a queste corrispondenze, il seminatore-scrittore riacquista tutta la sua centralità tematica e tutto il suo spessore di immagine culturalmente longeva e feconda.

Il testo del quadrato magico potrebbe suonare più o meno così, con un arepo che ci sembra piuttosto un ‘solco’ che un ‘aratro’:

Il seminatore

con la sua opera

mantiene fisse

al solco [che gira]

le ruote.

La scrittura è un’arte difficile che deriva dalla lettura del cielo. Come la semina.

BREVE APPENDICE MATEMATICA

In matematica un quadrato magico è una matrice nxn in cui la somma di numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna e, talvolta, in ogni diagonale è costante.

La dimensione della matrice n si dice ordine del quadrato magico e la somma, costante, è la costante magica del quadrato.

Di seguito, un esempio di quadrato magico di ordine 3 con costante 15:

4          9          2

3          5          7

8          1          6

Ritenendo che in questa trattazione non si possa dire niente di nuovo sull’aspetto matematico dei quadrati magici, ci focalizzeremo sui possibili legami con il quadrato magico di cui sopra.

Un quadrato magico matematico dovrebbe contenere tutti i numeri tra 1 e n2, mentre il SATOR contiene ripetizioni e solo 8 simboli diversi, per cui quello che possiamo costruire è un quadrato magico che abbia come sola caratteristica il fatto che la somma delle righe e delle colonne è costante (vedremo successivamente cosa si può dire della somma delle diagonali).

Associando ad ogni lettera diversa un numero diverso si può trovare una moltitudine di quadrati magici matematici.

Abbiamo scelto un quadrato così formato:

Le associazioni fatte sono le seguenti:

 S = 6; A = 7; T = 4; O = 5; R = 3; E = 8; P = 2; N = 1

Si noti:

  • come la costante magica sia 25 (ovvero 52, con 5 che è l’ordine del quadrato);
  • come la N di TENET sia stata trasformata in 1 (l’origine);
  • come tutte le diagonali siano particolari (ovvero abbiano ripetizioni con periodo 3, 2 o 1).

Il quadrato che abbiamo scelto non ha la costante magica come somma delle diagonali, caratteristica che si ritrova in alcuni quadrati magici matematici (ed anche nel quadrato 3×3 che abbiamo riportato sopra come esempio). Possiamo però dimostrare come, partendo dal SATOR e sostituendo numeri a lettere (a lettera uguale deve corrispondere numero uguale e a lettera diversa numero diverso), non si possa costruire un quadrato magico matematico che rispetti la regola della somma delle diagonali.

Dimostrazione

  1. somma della prima riga:                  s+a+t+o+r
  2. somma della seconda riga:              a+r+e+p+o
  3. somma della terza riga:                   t+e+n+e+t
  4. la quarta e la quinta riga hanno, ovviamente, somme uguali alla seconda e alla prima, rispettivamente;
  5. somma della prima diagonale:           s+r+n+r+s
  6. somma della seconda diagonale:       r+p+n+p+r

Perché sia un quadrato magico dobbiamo avere:

  1.            s+a+t+o+r = a+r+e+p+o
  2.            a+r+e+p+o = t+e+n+e+t
  3.            a+r+e+p+o = s+r+n+r+s
  4.            a+r+e+p+o = r+p+n+p+r

Semplificando un po’, otteniamo:

  1.            s+t = e+p
  2.            a+r+p+o = t+n+e+t
  3.            a+e+p+o = s+n+r+s
  4.            a+e+o = n+p+r

Mettiamo a confronto III e IV:

III.            a+e+o = s+n+r+s-p

IV.            a+e+o = n+p+r

Quindi:

s+n+r+s-p = n+p+r

Semplificando, otteniamo:

2s = 2p

Ovvero:

s = p

Questo dimostra che le condizioni che abbiamo posto all’inizio (somma delle righe, delle colonne e delle diagonali uguali) si possono ottenere solo se due simboli sono coincidenti, ma ciò contraddice l’ipotesi.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Gli autori di questo mercuriale ed ermetico nuntius sono nati in provincia di Siena.

Il ‘quadrato magico’ senese è scolpito su una pietra inserita nella parete sinistra del Duomo (a circa due metri da terra), di fronte al palazzo arcivescovile. La prima delle citazioni è tratta da M. Bussagli, Arte e magia a Siena, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 72.

Si vedano anche F. Pagliari, Un grande enigma che attraversa intatto i millenni, «ItalyVision», n. 4, aprile 2005; S. Bartezzaghi, L’orizzonte verticale. Invenzione e storia del cruciverba, Torino, Einaudi 2007, pp. 221-23 e ntt. 17-19, p. 363, dove si citano M. Guarducci, Il misterioso Arepo, in Miscellanea etrusca e italica in onore di Massimo Pallottino, «Archeologia classica», XLIII (1991), pp. 589-96; H. Hoffmann, alla voce «Satorquadrat», suppl. n. 15 alla Realencyclopädie[1978]; F. Grosser, Ein neuer Vorschlag zur Deutung der Sator-Formel, «Archiv für Religionswissenschaft», XXIV (1926), pp. 165-69; S. Agrell, Runondas Talmysti, in «Skrifter utgivna av Vetenskaps-Societen i Lund», 6 (1927). Una sintesi in R. Cammilleri, Il quadrato magico. Un mistero che dura da duemila anni, Milano, Rizzoli, 2007 (senza bibliografia; sostanzialmente volto alla dimostrazione dell’ispirazione religiosa e cristiana del quadrato). Speriamo, infine, di poter leggere ancora il Sator di Wikipedia.

La seconda citazione di M. Bussagli in Arte e magia a Siena, p. 73.

Lo scriba che, per leggere il manoscritto, lo fa ruotare di 90°, è tratto da S. Bartezzaghi, L’orizzonte verticale, p. 347 (da R. Barthes, Variations sur l’écriture, in Œuvres complètes, Paris, Seuil, 1994; trad. it. C. Ossola, Variazioni sulla scrittura, Torino, Einaudi, 1999).

La voce «lèggere» è di M. Cortelazzo & P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, III, Bologna, Zanichelli, 1983.

Sul gallico arepennis «(l’unità che può essere arata in un giorno da un aratro e da un uomo; da penn-os, testa; donde l’odierno francese arpent)» si legga W. Kula, Le misure e gli uomini dall’antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 7 (da cui la citazione) e 28. Si rimanda J. Richard, Arpentage et chasse aux loups. Une définition de la lieu de Bourgogne au XVIe s., «Annales de Bourgogne», XXXV 1963, 4, pp. 239-50.

Quanto ai rapporti fra la lettura del cielo e la scrittura, basti citare, in questa sede, J.-P. Vernant et al., Divinazione e razionalità, Torino, Einaudi, 1982 (fondamentale il saggio di J. Gernet, Piccole variazioni e grandi variazioni (Cina), alle pp. 53-71, in cui si parla dei quadrati magici matematici in relazione alla pratica divinatoria); D. Sabbatucci, Divinazione e cosmologia, Milano, Il Saggiatore, 1989.

rrg

Raffaele e Riccardo Giannetti (rr.emercurius@gmail.com)

P.S.: Il prossimo e-nuntius (post)

DICEMBRE, IL DODICESIMO

Il nome dei mesi

Dove si risolve in maniera nuovissima l’annosa questione del nome dei mesi, ovvero si spiega l’apparente anomalia che fa di settembre il nono mese dell’anno, di ottobre il decimo e così via. Non si tratterebbe – questa la novità – di un errore, né dell’effetto involontario di qualche antica riforma calendariale, ma di una raffinata sistemazione culturale del tempo dell’anno.